Filippo Palizzi

(Vasto 1818 – Napoli, 1899)
Dopo gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza, trascorsi nella città natale, si trasferisce nel novembre del 1837 a Napoli, per frequentare l’ Istituto di Belle Arti valendosi di un sussidio quadriennale della provincia di Abruzzo Citeriore.
Da subito però manifesta palese avversione agli studi accademici per allontanarsene in maniera definitiva due anni dopo e trovando inizialmente accoglienza nello studio privato del pittore teramano Giuseppe Bonolis, anch’egli attivo a Napoli. Si avvicina così allo studio della natura sviluppando un vero e proprio “genere”, originale ed innovativo (cfr. D. Morelli che scrive di una “… verità genuina che non era di nessuna scuola”), e raccogliendo rapidamente consensi e successi.
All’Esposizione Borbonica del 1841 presenta Due pastori e Pastore che beve. Dipinge su richiesta il Maggio lucano, unanimemente elogiato ed acquistato dal Re Ferdinando II che gli commissiona anche un’altra opera, il Ritorno dalla campagna (Napoli, Museo di Capodimonte) e lo introduce a corte come maestro di pittura.
Trascorre alcuni mesi a cavallo tra il 1841 e il 1842 in Lucania ove ritrae scene pastorali.
Nel 1847 vive per la prima volta l’estate a Cava dei Tirreni, che elegge a luogo ideale per la sua ispirazione pittorica dal vero e diviene così una sede ricorrente dei suoi soggiorni estivi; qui compone studi e bozzetti che rielabora poi a Napoli.
Lo scoppio della rivoluzione napoletana del 1848 è “annotato” dal pittore in due opere, La sera dì 11 febbraio 1848 – Napoli e 15 maggio a Napoli, connotate entrambe da grande immediatezza cronachistica.
E’ del 1852 la stesura di una fra le sue opere più significative, Pastorelli nel bosco (Vasto, Pinacoteca civica), unanimamente riconosciuta dalla critica come un momento fondamentale della sua ricerca luministica e per le innovative soluzioni “di tipo impressionistico” .

Nel 1870 si dedica di prima mano all’attività incisoria con la tecnica dell’acquaforte (antico nome dell’acido nitrico. La stampa artistica si otteneva da una matrice di metallo incisa,utilizzando soluzioni acide). Le opere prodotte testimoniano dell’alta qualità raggiunta; esse sono in gran parte conservate presso l’Istituto Calcografico Nazionale di Roma.
Viene nominato ‘Socio di merito’ della Reale Accademia di Belle Arti di Venezia.

Il 16 marzo del 1871 scompare il fratello Francesco Paolo. Segue un periodo caratterizzato da una caduta degli ideali, a cominciare da quelli patriottici e da un notevole indebolimento degli stessi proponimenti artistici.

Gli anni seguenti sono connotati da tutta una serie di riconoscimenti ed onorificenze per i meriti artistici: Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia (1877), Direttore Generale delle Scuole della Società Operaia Napoletana (1878), Presidente del Regio Istituto di Belle Arti di Napoli (1878), Socio ordinario residente della Accademia di Architettura, Lettere e Belle Arti della Sanità Reale di Napoli (1880).

Filippo Palizzi e i giovani artisti non allineati a cura di Roberta Presenza (da ‘Terra e Cuore’ 2008)

Tanto è stato scritto e tanto è stato detto dell’arte di Filippo Palizzi, critici, studiosi e appassionati hanno riempito pagine e pagine sulla pittura di rinnovamento di Filippo. Anche l’amico e allievo Domenico Morelli (Napoli 1823-1901) lo ricorda con una sentita e commossa commemorazione letta Il 21 giugno del 1900, all’Accademia di Archeologia di Napoli…“la sua era un arte modesta, di piccole proporzioni; ma vi era dentro tutto un mondo di colore, di luce, di una verità, di un rilievo palpabile. Non pensava ne concepiva grandi effetti pittoreschi: trovava sul posto i suoi quadri, vacche, vitelli, capre, asinelli, erba, sassi, interni affumicati, e rendeva interessante tutto quello che ritraeva dal vero!”. Filippo Palizzi nasce a Vasto (Ch) nel 1818, poco più che un ragazzo insieme al fratello maggiore Giuseppe, si trasferisce a Napoli, capitale del Regno. Entra così nel Reale Istituto d’Arte, passaggio ritenuto fondamentale per chi desiderava accostarsi al mondo dell’arte, qui conosce giovani artisti, di cui molti provenienti da diversi paesi del sud Italia. La formazione artistica di Filippo Palizzi, che all’interno dell’accademia rimane per pochi mesi, avviene in un clima di grande fermento culturale e politico, in un’Italia profondamente divisa, che di fatto politicamente non ancora esisteva. Nella metà dell’800 il Regno delle Due Sicilie è attraversato nel profondo da fermenti liberali e mazziniani; la capitale, nonostante l’isolamento culturale imposto dal sovrano, è interessata da un’evoluzione del pensiero e della cultura, che si sviluppa attraverso le scuole non ufficiali, dove i giovani artisti e letterati possono esternare le loro idee, apprendere il concetto di nazione, ed principi di libertà, vietati all’interno degli istituti scolastici. In quegli anni Napoli può nutrirsi delle idee liberali di Francesco De Sanctis (Morra Irpinia 1817-Napoli 1883), che alimentano quel particolare clima, creatosi negli ambienti intellettuali, fatto di richieste di ammodernamento del linguaggio artistico, letterario e pittorico. Con il trascorrere del tempo, in prossimità delle rivolte del 1848, tale atteggiamento di critica, si trasforma in una precisa richiesta di riforma degli istituti accademici da parte dei giovani liberali. Tale malcontento si manifesta anche attraverso pubblicazioni satiriche, petizioni e rivolte armate, sempre represse nel sangue, che preannunciavano le grandi rivolte del 1848.

Lo stesso clima di chiusura si respira anche all’interno del Real Istituto d’Arte, frequentato dal giovane Palizzi. A quel tempo sotto l’egida di Camillo Guerra e Costanzo Angelini, rispettivamente professori di pittura e di disegno, ultimi esponenti del Neoclassicismo napoletano. Le loro idee rendono l’Istituto un ambiente chiuso in un rigoroso accademismo, tanto da farlo considerare un carcere intellettuale, dai giovani allievi che lo frequentano, un mondo arroccato sulle sue idee, dove pochissimo spazio è lasciato alla libera interpretazione dei soggetti e alla scelta delle tecniche artistiche. Solo l’artista e professore Giuseppe Mancinelli, si pone come mediatore tra i precetti accademici, le tendenze del verismo e la nuova generazione di artisti, di cui fanno parte tra gli altri Filippo Palizzi, Domenico Morelli e Saverio Altamura(Foggia 1826-Napoli 1897), ognuno a suo modo partecipe e testimone di questo clima di evoluzione e ribellione.

Si assiste così, al di fuori delle mura accademiche, alla nascita di scuole libere, aperte alle novità e desiderose di dare nuovo respiro all’arte. In queste scuole non allineate si parla di vero, della necessità di osservare la natura, di ispirarsi ad essa, nasce una nuova educazione artistica. Scuole libere come quella di Giuseppe Bonolis, che avevano come precetto il copiare tutto dal vero, e osservare le tonalità nel chiaroscuro e nel colore, la Scuola di Posillipo, il cui caposcuola Giacinto Gigante, fonda i suoi precetti su una ricerca incentrata sugli accordi cromatici e tonali, una particolare cura dedica alle atmosfere luminose e all’esaltazione degli aspetti maestosi e imponenti della natura. La Scuola di Posillipo vanta numerosi artisti, quali Achille Vinelli, Gabriele Smargiassi (Vasto 1798-Napoli 1882), Salvatore Fergola(Napoli 1799-1874). È proprio al di fuori delle mura accademiche, a contatto con queste scuole libere, che si forma lo spirito e la percezione artistica di Filippo Palizzi e altri allievi dell’Istituto. Essi si fanno promotori e partecipi dei loro principi. Nasce cosi la nuova pittura napoletana, che all’indomani dell’Unità ruota attorno a questi giovani artisti quali Domenico Morelli e Filippo Palizzi, che amano la ripresa dal vero, il coraggio di sperimentare la natura in tutta la sua forza e vitalità. Nella metà dell’800 molti artisti pagarono con il carcere o con l’esilio forzato il loro desiderio di ammodernamento e di libertà, espresso anche attraverso la partecipazione ai moti rivoluzionari, poiché le idee liberali, anarchiche e socialiste spingevano gli intellettuali a battersi non solo con le loro opere, ma con le armi in pugno. Palizzi, i cui campi di interesse sono la rappresentazione del vero contingente, visibile ed oggettivo, non avverte la necessità di indagare oltre il visibile, ma riveste di sacralità e perfezione la natura ed il vero contingente. Questo pittore dipingeva quel che vedeva, uscendo dalle aule dell’accademia a contatto con la natura incontaminata dei pascoli di Fuorigrotta e il mare di Mergellina. Attraverso i suoi dipinti opera una rottura verso i precedenti canoni di matrice vedutistica, mediante l’elaborazione di nuovi valori espressivi, che sfociano in nozioni realistiche. La sua scelta di abbandonare la figura umana o almeno di arretrarla, per ritrarre quasi esclusivamente paesaggi e animali, soffermandosi su quelli più umili, in un clima di rivolta, di desiderio di rinascita, di apertura verso nuovi dettami artistici, ha il sapore della vera ribellione, ma con alla base principi ideologici intrisi di idee democratiche e liberali.

La poetica delle cose semplici, dell’amore per la natura ha per Filippo Palizzi un carattere antiaccademico e di modernit. Palizzi dipingeva le campagne e le marine napoletane, cogliendo gli infiniti giochi di luce del sole, sul mare, tra le piante, lo svanire lontano dell’orizzonte, le dolci ombre delle colline, dei monti, lo scintillio del mare. Scoprendo così tutto un nuovo mondo, lontano dai romanzi, dalle rappresentazioni sacre e dall’esaltazione delle gesta di antiche eroi, ma fatto di valori pittorici basati sul colore, nella luce, nelle tonalità e nelle macchie, mostrando al mondo  la falsità del colore accademico. Filippo Palizzi fu il maggiore polemista della nuova scuola pittorica, inventore della Macchia Napoletana maestro e innovatore, negli anni seguenti ai suoi allievi insegnò ad osservare le tonalità del chiaroscuro, ad analizzare il colore e le combinazioni di un bianco sull’altro. Palizzi è il pittore delle cose semplici, ma che racchiudono tutta le forza della realtà e della natura, un investigatore paziente, uno studioso minuzioso e preciso della vita che ci palpita  attorno….definito da Gabriele  D’Annuzio…un pittore senza sogni e visoni fantasiose, ma di un’ abilità tecnica da pochi eguagliata…

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